
22 Feb Come diventare newyorkesi / O. Henry (incipit)
Tra le tante altre cose, Raggles era un poeta. Veniva chiamato vagabondo, ma non si trattava che di un modo succinto per dire che era un filosofo, un artista, un viaggiatore, un naturalista, e un esploratore. Ma più di ogni altra cosa, Raggles era un poeta. Non aveva mai scritto un solo verso in vita sua, lui viveva la sua poesia. Se fosse stata scritta, la sua Odissea sarebbe stata un limerick satirico. Ma per tornare alla proposizione iniziale, Raggles era un poeta.
La specialità di Raggles, se fosse stata trasposta in inchiostro su carta, sarebbero stati i sonetti alle città. Studiava le città come le donne studiano la loro immagine riflessa in uno specchio, come i bambini studiano i pezzi di un giocattolo rotto, come gli uomini che scrivono di animali selvaggi studiano le gabbie negli zoo. Una città, per Raggles, non era un mero ammasso di malta e mattoni, popolato da un certo numero di abitanti… era una cosa viva, con una sua anima unica e particolare, un agglomerato di vita, con la sua essenza specifica, con il suo sapore e i suoi umori. Duemila miglia a nord e a sud, a est e a ovest, in poetico fervore Raggles peregrinava, portandosi le città al petto. Camminava su strade polverose, o sfrecciava nel lusso dei vagoni merci, guardando il tempo passare come se non contasse nulla. E quando aveva trovato il cuore di una città, dopo che aveva prestato orecchio alle sue confessioni più segrete, Raggles, insaziabile, proseguiva verso un altro posto. Capriccioso di un Raggles! Ma forse non aveva ancora incontrato il paesaggio urbano che potesse affrontare e contenere il suo piglio critico.
Traduzione di Silvia Lumaca