PROGETTI SPECIALI

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PROCESSO EICHMANN

Il progetto integrale degli atti processuali del processo Eichmann
ha preso vita attraverso 4 volumi di carattere antologico,
pubblicati dal 2014 al 2016

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MARK TWAIN OPERA OMNIA

Nel 2014 – dopo una serie di titoli sparsi pubblicati negli anni –
prende il via il progetto ambizioso e visionario di tradurre tutta l’opera di Mark Twain.
Il progetto non segue un ordine cronologico ed è curato da Livio Crescenz

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CENTOTRENTACINQUE
Collana diretta da Filippo Tuena

La collana centotrentacinque esce in occasione del cxxxv anniversario
della fondazione della casa editrice, con una tiratura di 135 copie
numerate con numeri arabi, più 15 con numeri romani e fuori commercio.
La collana è disponibile al pubblico sul sito della casa editrice.

Ernest J. Gaines / Una lezione prima di morire

Non c’ero, ma ero lì. No, non andai al processo e non sentii il verdetto, perché fin dal primo momento sapevo come sarebbe andata. Eppure, in qualche modo, ero lì. Lo ero alla stessa maniera in cui lo eravamo tutti noi. Magari stavo seduto dietro a mia zia e alla madrina del ragazzo, oppure mi trovavo proprio accanto a loro. Entrambe sono donne grosse, ma quest’ultima è più grossa. È di media statura, un metro e sessanta, un metro e sessantacinque, ma pesa quasi cento chili. Non appena lei e mia zia trovarono da sedersi – due file dietro il tavolo dove stava lui, seduto con il suo avvocato d’ufficio – la madrina del ragazzo si fece immobile come un’enorme pietra o come uno dei nostri ceppi di rovere o di cipresso. Non si alzò mai una volta per prendere dell’acqua o per andare al bagno al piano interrato. Si limitò a rimanere lì, seduta, a osservare la testa completamente rasata del ragazzo che stava fermo, al tavolo davanti, in compagnia del suo avvocato.
Anche quando il ragazzo uscì per attendere il verdetto dei giurati, gli occhi di lei rimasero fissi in quella direzione. Non sentì nulla di ciò che si disse in aula. Né le parole del pubblico ministero, né quelle dell’avvocato difensore, né quelle di mia zia. (Oh, sì, una parola lei la sentì – una parola sicuramente la sentì: porco.) Fu mia zia – i cui occhi seguirono il pubblico ministero, mentre si spostava da un lato del tribunale all’altro e batteva il pugno sul palmo della mano, batteva il pugno sul tavolo su cui c’erano i suoi appunti, batteva il pugno sulla sbarra che separava i giurati dal resto del tribunale – fu mia zia, mia zia che seguì ogni mossa del ragazzo. Non la sua madrina. Lei non stava nemmeno ascoltando. Si era stancata di ascoltare. Sapeva – come tutti sapevano – quale sarebbe stato l’esito della vicenda. Un uomo bianco era stato ucciso durante una rapina e, anche se due dei rapinatori erano già morti sul posto, uno era stato catturato e anche lui sarebbe dovuto morire. Sebbene il ragazzo dicesse loro che no, no, lui non aveva niente a che fare con quella storia – lui stava andando al White Rabbit Bar & Lounge quando Brother e Bear lo avevano affiancato e gli avevano offerto un passaggio. E dopo che lui era salito in macchina, loro gli avevano chiesto se avesse dei soldi. E quando lui aveva detto loro che non aveva nemmeno un centesimo, allora Brother e Bear avevano iniziato a parlare di farsi mettere tutto sul conto, dicendo che il vecchio Gropé non si sarebbe fatto problemi a mettere una pinta di birra sul loro conto, dal momento che li conosceva bene, il vecchio Gropé, e sapeva che presto ci sarebbe stato da lavorare e loro sarebbero stati in grado di restituirgli i soldi.
Il negozio era vuoto, fatta eccezione per il vecchio bottegaio, Alcee Gropé, seduto su uno sgabello dietro il bancone. Fu lui a parlare per primo. Chiese a Jefferson come stava la sua madrina. Jefferson gli disse che la ‘nannan’ stava bene. Poi Gropé annuì con la testa. “Salutala da parte mia,” disse a Jefferson. Poi guardò Brother e Bear. Non gli piacevano. Non si fidava di loro. Jefferson poteva intuirlo dalla sua faccia.
“Cosa posso fare per voi, ragazzi?” Chiese.
“Una bottiglia di quella Apple White laggiù, signor Gropé,” disse Bear. Il vecchio Gropé prese la bottiglia dallo scaffale, ma non la mise sul bancone. Si era accorto che i ragazzi avevano già bevuto, e cominciò ad avere dei sospetti.
“Avete i soldi per pagarla?” chiese. Brother e Bear tirarono fuori tutti i soldi che avevano in tasca e li misero sul bancone. Il vecchio Gropé li contò con gli occhi. “Non sono abbastanza,” disse.
“Avanti, signor Gropé,” lo implorarono loro, “ci venga incontro. Lo sa che avrà indietro i soldi non appena ricomincerà la stagione.”
“No,” disse Gropé, “tutti abbiamo bisogno di soldi. Portate i soldi e avrete il vostro vino.” Poi si girò per rimettere la bottiglia sullo scaffale. Uno dei ragazzi, quello chiamato Bear, fece per girare attorno al bancone. “Fermati lì dove sei,” gli disse Gropé. “Torna indietro.” Bear aveva bevuto e aveva gli occhi lucidi; camminava barcollando lungo il bordo del banco, senza smettere di sorridere. “Torna indietro,” gli disse Gropé. “Te lo dico per l’ultima volta – torna  indietro.” Ma Bear non si fermò. Gropé si piegò velocemente verso il registratore di cassa, estrasse una rivoltella dal cassetto e sparò. Un attimo dopo un’altra arma rispose al fuoco. Quando tornò il silenzio, Bear, Gropé e Brother erano stesi sul pavimento, e soltanto Jefferson era rimasto in piedi.

 

Da ‘Una lezione prima di morire’



Mattioli 1885