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Quando l’aggettivo liberale diventò predicato politico? Il 10 novembre 1810 alle Cortes di Cadice sull’Isola di Leon, in occasione del dibattito sulla libertà di stampa, Don Eugenio Tapia scrisse un sonetto in cui le rime liberal e ser-vil si alternavano per “tassare di grettezza e servilità le opinioni di coloro che peroravano in favore dei vecchi sconci” ed altrettanto si fece nella discussione seguente sulla libertà dei commerci dei grani con le Americhe…
…”Come dalle controversie sull’amministrativo – scrisse Luigi Carlo Farini – le Cortes passarono a discutere sulle pubbliche libertà, furono visti prendere il partito contrario ai larghi ordini gli stessi uomini che avevano difeso gli sconci economici. Per tal modo l’aggettivo di liberale, usato prima nel suo significato di generosità, diventò predicato politico opposto a quello di servile, dato ai propugnatori delle opinioni retrive; e per tal modo, ad esempio della Spagna, incominciarono a domandarsi liberali in Francia ed in Italia i fautori degli ordinamenti liberi”.
In pochi anni il termine dilagò in tutto il mondo, dovendo la fortuna dell’uso politico del predicato liberale in gran parte ai suoi oppositori. La pubblicistica cattolico-clericale, soprattutto gesuitica, utilizza largamente da subito il dispregiativo liberalesco, alternandolo con il recupero dello storico libertino, e più tardi, da parte della sinistra radicale e socialista, si fa uso del maggiorativo ironico liberaloni, che presto in area tosco-padana, caratterizzata dal regime agrario mezzadrile si traduce nel gergale malvoni, dialettale malvoun, dalla radice malva, come succo agro-dolce della pianta arborescente della malva rotundifoglia. Un manuale per Confessori, dedicato alla casistica del peccato liberalismo e dei peccatori liberali, anche di coloro che si ricredessero della “lebbra del secolo”, entrò in uso in Spagna già dal 1814.
La portata della rivoluzione liberale fu colta da Emmet Jhon Hughes: “Considerare il liberalismo come un innocuo atteggiamento politico al quale la maggior parte delle persone colte e civili generosamente abbiano aderito sarebbe come fissare ignari un guscio svuotato della sua sostanza. I pilastri filosofici del liberalismo costituiscono una successione di postulati specifici, ciascuno dei quali con un significato individuale ed esplicito, ciascuno dei quali eretto sui ruderi dei pilastri demoliti di epoche passate e di società passate. Seguire il corso di questa lotta di credenze contraddittorie, dalle sue radici alla sua risoluzione; analizzare il carattere solenne e significativo di questo conflitto durato secoli: è questo il modo di distinguere chiaramente le forze che contribuirono a formare la fede, la volontà e la ragione della società liberale”.
Il primo contributo bibliografico a questa analisi di 200 anni di liberalismo lo abbiamo voluto dedicare proprio al nervo più scoperto in Italia dei rapporti tra Stato e Chiesa, liberalismo e cattolicesimo, una peculiarità tutta italiana, ma paradigmatica all’evolversi di tali rapporti tra altre culture, altre fedi, altre contraddizioni.
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