PROGETTI SPECIALI

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PROCESSO EICHMANN

Il progetto integrale degli atti processuali del processo Eichmann
ha preso vita attraverso 4 volumi di carattere antologico,
pubblicati dal 2014 al 2016

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MARK TWAIN OPERA OMNIA

Nel 2014 – dopo una serie di titoli sparsi pubblicati negli anni –
prende il via il progetto ambizioso e visionario di tradurre tutta l’opera di Mark Twain.
Il progetto non segue un ordine cronologico ed è curato da Livio Crescenz

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CENTOTRENTACINQUE
Collana diretta da Filippo Tuena

La collana centotrentacinque esce in occasione del cxxxv anniversario
della fondazione della casa editrice, con una tiratura di 135 copie
numerate con numeri arabi, più 15 con numeri romani e fuori commercio.
La collana è disponibile al pubblico sul sito della casa editrice.

Torna ‘Preparare un fuoco’ in una nuova edizione: è il momento di rileggere la postfazione di George R. Adams

Perché il protagonista di Preparare un fuoco muore.

>> Discutendo di Preparare un fuoco, un giorno uno studente mi fece questa domanda: “perché quell’uomo era nello Yukon?” Gli risposi che probabilmente era un prospector, un cercatore che sondava varie zone alla ricerca dell’oro, infatti il “campo” che deve raggiungere nel racconto viene definito come una “vecchia concessione”. Solo la prima versione del racconto ci dice che gli uomini sono nello Yukon “a sondare terreni e a cacciare alci”. Cominciai a riflettere su questa e sulle altre differenze che si trovano nelle diverse versioni del racconto, soprattutto per ciò che riguarda il cane e la morte dell’uomo, e fu così che scoprii una cosa: i cambiamenti apportati da London seguono un disegno nascosto. Ciò che che nella prima versione è esplicito e in primo piano, nelle versioni seguenti viene sottinteso e messo come sfondo: ne dedussi che il cane e la morte, passati in primo piano, potessero essere tematicamente legati, e che, per delle ragioni ben precise, l’uomo morisse proprio perché c’era anche il cane.

Nella trama delle versioni che seguirono quella del 1902, è chiaro che l’uomo muore a causa del cane; più precisamente, muore perché non riuscendo a uccidere il cane per utilizzarne la carcassa e scaldarsi le mani non può preparare un fuoco. Questa trama in primo piano, esplicita, viene arricchita di dettagli che sono in sintonia con quella che possiamo definire ‘lettura normale’ del racconto. Nella lettura normale il protagonista muore non essendo biologicamente adatto alla vita. Questo tema darwiniano (una vera e propria morale) viene sottolineato con il paragone esplicito tra le caratteristiche innate dell’uomo e quelle del cane. Dato che egli non è il cane e poiché il suo carattere è una combinazione di arroganza, inesperienza e cattiva sorte, l’uomo apprenderà nella maniera più dura un’amara legge dello Yukon: nessun uomo può andarsene in giro da solo sulla pista ghiacciata con temperature inferiori ai quarantacinque gradi sotto lo zero. Questa legge è anche una morale, dunque la morale dello Yukon si fonde alla morale darwiniana e sta alla base della normale lettura del racconto. Lettura che incorpora facilmente una tipica ‘morale’ della narrativa naturalista: gli uomini sono destinati a un’esistenza sulla quale non esercitano alcun controllo e i loro inevitabili errori, davanti a una natura indifferente e ‘implacabile’, finiranno per combinarsi sempre a produrre un disastro. Per i moltissimi ammiratori di Preparare un fuoco queste morali si intrecciano e, combinate alle capacità narrative di London, producono un’efficacissima disamina della ‘condizione umana’. Tuttavia, nel racconto sono presenti alcune ambiguità che complicano questa lettura, rendendo necessaria un’altra interpretazione.

Un certo tipo di ambiguità si presenta in merito alla distinzione tra evoluzione ed ereditarietà. Il racconto, per esempio, vuole dimostrare che nel momento in cui gli esseri umani, nel corso dell’evoluzione, hanno perduto le risorse fornite da pelliccia e istinto, hanno anche perso le risorse fornite dall’intelligenza, sviluppando per contro quelle dell’arroganza? E cosa troviamo esattamente nel campo d’azione dell’arroganza e della mancanza di immaginazione dell’uomo del racconto? L’atteggiamento verso l’old timer, il veterano, e il consiglio ricevuto, sono una caratteristica evoluzionistica oppure genetica? E, ancora: l’arroganza è il risultato di fattori estranei alla biologia, come l’esperienza, e non un prodotto della storia e dell’ereditarietà? 

È sottinteso al racconto che se l’uomo si fosse trovato nello Yukon da più tempo, il suo vissuto sarebbe stato un altro, per cui anche l’atteggiamento, il comportamento e il destino sarebbero stati altri. Se la sopravvivenza nello Yukon dipende dall’esperienza, significa che ogni debolezza evolutiva o genetica è irrilevante. A meno che London non stia cercando di dire che gli uomini come il protagonista del racconto sono a priori biologicamente così svantaggiati dall’evoluzione o dalla genetica che non riuscirebbero comunque a sopravvivere abbastanza per acquisire l’esperienza necessaria che serve a restare vivi.

Le ambiguità sull’importanza dello schema biologico a cui risponde l’uomo sono rafforzate da un’ambiguità relativa agli eventi, sui quali l’uomo non esercita alcun controllo. Un evento significativo in primo piano nella trama del racconto, come riconosce il protagonista stesso, è la cattiva sorte. Nei racconti naturalisti, spesso la fortuna è il laboratorio dove vengono testati i caratteri e dove l’interazione tra biologia e circostanze si manifesta sotto forma di successo o fallimento. Ma la fortuna di quest’uomo in particolare a cosa è legata, all’esperienza o alla biologia? Egli, per esempio, sa di dover evitare l’acqua nascosta e sa cosa deve fare nel caso ci finisca dentro. Se avesse più esperienza o immaginazione (volendo, se avesse più pelliccia), nulla cambierebbe in caso di sorte avversa. Cosa dobbiamo pensare dell’incidente che fa riversare all’abete tutta la neve sul fuoco? È il risultato dell’ottusità ereditaria dell’uomo o della sua inesperienza? Oppure, ancora, è il prevedibile prodotto della paura e della fretta, come sembra suggerirci il racconto? Che sia invece semplice sfortuna aggiunta ad altra sfortuna? Il racconto suggerisce che un uomo e le sue debolezze saranno sempre colpiti dalla cattiva sorte o vuole dirci che se la sorte fosse stata dalla sua parte, qualsiasi comportamento ereditario o appreso sarebbe stato irrilevante?

Su questo punto, London appare indeciso sul tema del racconto che la lettura normale deve fornire; forse, infatti, è meno interessato agli elementi tematici e lo è più all’esposizione del racconto, ai suoi aspetti letterari, come per esempio l’ironia.

 Il risultato importante dell’evoluzione, per gran parte di noi, è che gli esseri umani, incluso il protagonista del racconto di London, si sono sensibilmente elevati al di sopra del cane e dell’ambiente. Appare evidente, nel racconto, che l’uomo sa fare molte cose che il cane non è in grado di fare: pianificare (“sarebbe arrivato dai ragazzi alle sei in punto”), rifarsi al passato per capire il presente (“ricordò la storia di un uomo sorpreso dalla bufera”), portare cibo già pronto, scegliere indumenti caldi, preparare un fuoco, addomesticare animali e usare strumenti come fiammiferi, orologi, termometri e coltelli. Se improvvisamente si trovasse all’Equatore senza dover affrontare la cattiva sorte, probabilmente sopravviverebbe, mentre il cane husky dello Yukon potrebbe non farcela. L’ironia di fondo del racconto, come sottolinea David Hamilton in Critical Survey of Short Fiction 5 (Englewood Cliffs, New Jersey: Salem 1981), è la seguente: una creatura alla quale la natura ha assegnato la capacità di pensare, scegliere e creare, evitando di pensare sceglie deliberatamente di mettersi in serio pericolo. E più cerca di dimostrare la propria superiorità sulle circostanze, più dimostra, al contrario, che solo la creatura più primitiva e inferiore potrebbe tirarsi fuori dai guai. Questa ironia di fondo ci riporta alle questioni biologiche sollevate dal racconto. Se è vero che buona parte delle caratteristiche dell’uomo sono le stesse dei suoi simili, dobbiamo forse pensare a questa particolare ironia come a un aspetto universalizzante del destino dell’uomo? London sta forse cercando di dirci che le nostre superiorità mentali e tecnologiche non solo non ci preservano dal disastro, ma che addirittura, in alcuni casi, possono farci finire nei guai e che ce la caveremmo meglio se fossimo più primitivi? Cosa accadrebbe se la nostra tecnologia dovesse funzionare sempre e la sorte fosse sempre favorevole? Non è difficile immaginare un racconto dove si verifichino queste condizioni; è possibile che London, nel racconto, implichi proprio che tali circostanze non si presentano mai agli uomini: la sorte o i fiammiferi non ci sosterranno. O, invece, ci sta mettendo in guardia su un principio generale, per non adagiarci sull’idea della superiorità umana?

Forse sbaglio a voler vedere nel testo di London una morale universale, e magari l’uomo del racconto non è un soggetto rappresentativo della razza umana, bensì un individuo dalle caratteristiche specifiche, in circostanze particolari: di fronte alla morte. Dato che gran parte di noi non corrisponde alla descrizione, non dobbiamo preoccuparci di subire un destino simile. Si può leggere la vicenda in questo modo (perché l’uomo ha davvero caratteristiche specifiche: capelli rossi, nessuna immaginazione, inesperienza), riducendo di molto le ambiguità e il moralismo del racconto: ma anche così, non si possono comunque eliminare tutte le ambiguità e il moralismo che si celano tra le righe del racconto.

Una moderna teoria letteraria sostiene che il genere di ambiguità qui sottolineate sono l’inevitabile prodotto di qualsiasi opera di fantasia, non specifiche del racconto di London. O potrebbero essere specifiche del racconto se fossero il risultato di una revisione fatta dall’autore senza tenere conto della versione originale di Preparare un fuoco. Sarei propenso a credere che le ambiguità non siano solo specifiche di questo racconto, ma che siano anche il risultato di un’intrusione ideologica subentrata durante la revisione: ideologia della quale London era solo parzialmente consapevole e che, generalmente, finì sullo sfondo delle versioni riviste, ma che resta importante per stabilire come mai l’uomo del racconto muoia.

Nella prima versione della storia, uscita su Youth’s Companion nel 1902, il protagonista sopravvive alla sua odissea e impara la lezione: “Mai viaggiare da soli! Nel nord, è un imperativo.” Nella seconda versione, uscita su Century Magazine nel 1908, vennero aggiunte, con un’epigrafe, il cane e la morte dell’uomo: “Chi viaggia solo viaggia più veloce… ma non quando il gelo scende a meno di quarantacinque gradi sotto zero – è la legge dello Yukon.” Quando, due anni dopo, il racconto fu incluso nella raccolta Lost Face del 1910 [versione che appare in questo volumetto, ndt], questa epigrafe venne eliminata, dando origine a una terza versione. La prima versione ha uno svolgimento piuttosto lineare e prevedibile: la fortuna e la tecnologia non abbandonano il protagonista. Non solo ci viene presentata la morale della storia, ma anche la possibilità di sopravvivere dopo averla appresa, proprio come “ebbe modo di verificare Tom Vincent” attraverso la sua “dura esperienza”. La frase “ebbe modo di verificare” e il nome simbolico Vincent (conquistatore) ci svelano subito che, durante la lettura del racconto, possiamo rilassarci e concentrarci sui dettagli della lezione; non proveremo ansia per la condizione umana né per il destino di Tom, un “giovane muscoloso dalla corporatura possente, pieno di fiducia in se stesso”. Tom Vincent non sembra essere più consapevole della condizione umana rispetto all’anonimo personaggio che ritroviamo nelle versioni rivedute, né si mostra meno arrogante. Proprio perchè è giovane, forte, arrogante, non indossa un paranaso (“aggeggio da donnicciola”) ed esulta quando “domina gli elementi”. Se gli animali scavano una buca in caso di maltempo, l’uomo non fa certo altrettanto. Anche se lo troveremo presto a “lottare per la vita contro gli stessi elementi” che pensava di poter dominare, la sua arroganza, dopo tutto, è giustificata. Quando, preso dal panico, scappa, è perché ha la forza per farlo; quando si brucia la pelle attizzando il fuoco decisivo, ha lo stoicismo per sopportare. Il tipico distastro che accade nello Yukon, per Tom diventa semplicemente un’esperienza istruttiva da tramandare a quelli che verranno, facendo di lui un old timer, un veterano.

Ovviamente, la versione del 1902 è studiata per i lettori più giovani e non solleva quel genere di domande che si impongono nelle versioni seguenti. L’eliminazione dell’epigrafe (versione del 1910) suggerisce che London non fosse più sicuro del tema centrale della storia, cioè la legge dello Yukon; la rimozione dell’epigrafe sposta l’enfasi sulle leggi evolutive. Allo slittamento del nocciolo della questione si collega il cambiamento della motivazione che ha portato l’uomo nello Yukon: nella prima versione, Tom è un uno dei tanti cacciatori e cercatori che hanno avuto successo, perché “su allo spartiacque del Cherry Creek, erano sicuri di aver fatto il colpo”. Ma nella versione riveduta quest’informazione viene sottintesa e fa capolino quando il protagonista pensa alla “vecchia concessione” dove “i ragazzi” lo stanno aspettando. Tuttavia, le differenze più significative che si presentano nelle tre versioni vedono l’aggiunta del cane e la morte dell’uomo.

La presenza del cane generalmente viene letta come lo strumento principale per introdurre la morale darwiniana. London, però, non mostra tanto cosa è il cane, quanto cosa è costretto a diventare: un’appendice dell’uomo. È come, cioè, se volesse negare deliberatamente la massima “il cane è il miglior amico dell’uomo”. Nella sua forma originale, evoluta, nello stato di natura, il cane è infatti protetto da una spessa pelliccia che rimanda, ma per contrasto, a “barba rossa e baffi” dell’uomo. Il cane è l’esemplare darwiniano perfetto: in assenza di interferenze tra lui e l’ambiente, sarebbe in grado di sopravvivere. Ma London ci mostra come sia l’animale sia la natura abbiano subito interferenze da parte dell’uomo.

Già dalla prima apparizione del cane, notiamo che il suo ruolo è stato profondamente alterato. Non è più un’entità autonoma, un cane lupo adattato all’ambiente circostante, ma è ormai una creatura-oggetto completamente sottomessa, che sgattaiola alle calcagna dell’uomo e che si aspetta di vederlo “fare un campo e cercare rifugio da qualche parte per preparare un fuoco”. Condizionato dagli umani per reagire a un ambiente creato dagli umani, “aveva conosciuto il fuoco e voleva il fuoco”; quando l’uomo muore, trotterella lungo la pista “per trovare altri procacciatori di cibo e di fuoco”. Il condizionamento è stato brutale. In questa sintetica rappresentazione del rapporto tra specie superiori e inferiori vediamo il cane prima come husky nativo che passeggia dietro l’uomo, poi sgattaiola, quindi viene usato come strumento per scovare le trappole, quindi come “schiavo da fatica”, stimolato dal “colpo di frusta” e dai “suoni minacciosi”, e alla fine viene eletto a oggetto del sacrificio che dovrebbe salvare la vita all’uomo. La progressione (o piuttosto, la regressione) è dal ruolo di cane come compagno al ruolo di cane usa e getta: per questo l’animale è sempre it e mai he o she.

Lo stato di dipendenza e oggettivazione del cane e la sua parziale assimilazione all’ambiente dell’uomo, rendono ambigua la somiglianza fisica dei due, sottintesa nel racconto: l’umidità del respiro ha “imbiancato” le “mandibole, il muso e le ciglia” con una “sottile polvere di brina.” Barba e baffi dell’uomo, in parallelo, sono intrappolati in una “museruola” di ghiaccio, coincidenza che si può leggere a rinforzo del tema darwiniano, suggerendo che l’uomo sarà presto ridotto allo stato animale: non solo “scarta come un cavallo”, ma entra anche in una “trappola” e, proprio come il cane, deve affrontare le conseguenze della disavventura. D’altro canto, questa similitudine può essere letta come un altro aspetto dell’ironia che domina la storia: l’essere superiore, trovandosi nelle condizione primitive dalle quali desidera tanto emanciparsi, non riesce più a funzionare, anche quando ormai assomiglia in tutto e per tutto a un animale. La somiglianza suggerisce anche un’altra interpretazione, che è completamente opposta: il cane, nel proprio processo di assimilazione alla vita dell’uomo, si ritrova a fronteggiare lo stesso pericolo in cui si trova l’uomo; da “cane lupo”, mezzo lupo e mezzo cane, non riuscirà a sopravvivere se finirà per dipendere dalla protezione, dal cibo e dal fuoco degli umani e gli toccherebbe la stessa sorte nel caso in cui riuscisse a emanciparsi dallo stato di oggetto utile solo per preservare la vita umana. Attraverso il parallelo tra uomo e cane, London suggerisce una sorta di perverso e ironico processo evolutivo: gli esseri umani finiranno per snaturare il cane, rendendolo talmente dipendente e oggettivato che non sarà più in grado di sopravvivere nel proprio ambiente: quindi non sarà nemmeno più utile per servire o salvare gli esseri umani.

La relazione essenzialmente antagonista tra cane e uomo è la metafora evidente della lotta tra l’ambiente e l’uomo. Parte dell’evoluzione dell’uomo (almeno quella sociale) è ben illustrata dall’invenzione della metafora antagonista “ambiente ostile”, che implica la necessità della specie superiore di soggiogare un elemento naturale percepito come inferiore, oggetto o antagonista. Nella prima versione di Preparare un fuoco la relazione antagonista è in primo piano: Tom il conquistatore ama “dominare gli elementi” e “sfidare il gelo”: il freddo “non riusciva a fermarlo” e “per quanto gli elementi fossero potenti, egli era più forte”; “era un uomo, un dominatore di tutte le cose”. Anche quando arriva zoppicando e in uno stato pietoso al campo, portando le “cicatrici alle mani” della battaglia che ha appena vinto, è comunque un dominatore.

A una prima lettura, sembra che London, nella versione riveduta, abbia abbandonato la metafora della battaglia e della conquista, mentre in realtà ha solo cambiato il linguaggio sottinteso che definisce il rapporto. Utilizzando un diverso schema di gioco, gli esseri umani possono ridefinire la propria relazione antagonista con la natura al punto che “attacco” e “conquista” diventano ‘“difesa”. Questa riformulazione è resa evidente dai mezzi materiali che l’uomo porta con sé: per un essere umano minacciato da un ambiente ostile, vestiti, cibo, fiammiferi, termometro, coltello e cane sono mere “armi di difesa”. È lo Yukon a essere ostile e pericoloso, perché tende le sue “trappole”. Consideriamo ora la fonte delle armi dell’uomo, la tecnologia che manifesta la superiorità umana sulla natura e sul presunto diritto di difendersi da essa (cioè, il diritto di dominarla): è evidente che la tecnologia è parte della ridefinizione del nostro rapporto con l’ambiente. Per l’uomo, possedere termometro, orologio e coltello significa aver lavorato la terra; poter disporre di un fazzoletto e di vestiti significa che la terra ha dovuto essere dissodata; e avere il pranzo significa che sono dovuti morire degli animali. Per cui, la relazione messa in primo piano tra uomo e cane include ogni aspetto dell’uomo, della sua storia e dell’ambiente dello Yukon, dove si svolge il racconto.

Il freddo estremo dello Yukon domina la mente dell’uomo e la storia stessa, mentre il vuoto e il biancore puro non emergono altrettanto prepotentemente. Una domanda di corollario a quella posta dal mio studente è: “Perché non ci sono nativi dello Yukon nel racconto?” All’ovvia risposta che il racconto non è su di loro, aggiungerei però che i nativi vengono comunque implicitamente menzionati, così come implicita è l’importanza del cane nella storia. I cani da lavoro del nord, come questo husky, dopo tutto sono un’innovazione di quegli abitanti originali – che London chiama “eschimesi” – scacciati dai bianchi intrusi (e di cui il cane porta il nome come segnale distintivo). In tutto il vasto biancore che circonda l’uomo, gli eschimesi non occupano spazio fisico o mentale: proprio per la loro assenza, essi sono lì ben in evidenza, non solo per via del cane di razza husky, ma anche per l’atteggiamento del protagonista verso gli altri uomini. Al campo, i compagni sono “i ragazzi”; gli arbusti dello Yukon sono “melmosi ciuffi d’erba” e il veterano di Sulphur Creek è sia un cavallo (“ronzino”) che una “femminuccia” e non può capire quello che è in grado di ottenere un giovane in forze. Pensando a se stesso con disprezzo, si figura come “una gallina senza testa”. È ovvio che qualsiasi cosa percepita come inferiore non riesce a imprimersi significativamente nella mente dell’uomo, e dunque non deve sorprenderci che a un certo punto decida, senza nemmeno riflettere, di macellare il cane per salvarsi.

Meno scioccante ma altrettanto significativo è il modo in cui l’uomo accende un fuoco: egli trova solo ramoscelli e detriti. Poiché una volta il legname da ardere faceva parte delle risorse del territorio, questo semplice atto ci rimanda alla ragione per cui l’uomo si trova nello Yukon: egli ha fatto “una deviazione per osservare la primavera dalle isole sul fiume Yukon”. Prima ancora, adocchiammo la “rigogliosa foresta di abeti” e “un’isola ricoperta di abetaie”, infine i “grandi abeti” e “i piccoli abeti” sotto i quali egli preparerà il fuoco fatale. La ragione per cui l’uomo nota “i mutamenti nel torrente, le curve, le pieghe e i cumuli di legname” è presumibilmente legata al fatto che in primavera, per riuscire a trasportare i tronchi, è necessario evitare questi mucchi di detriti creati dalle piene che ostruiscono il passaggio. Cane e alberi sono perciò entità intercambiabili, sono solamente due delle “cose della vita” che attirano l’attenzione dell’uomo.

Labor e Hendricks commentano la “freddezza” e la vacuità dell’uomo suggerendo che egli riflette e agisce in base all’ambiente in cui si trova: ma è una freddezza più legata alla “personalità”, al suo “atteggiamento” di singolo essere umano alle prese con un evento che significa qualcosa solo per lui, al massimo per altri uomini come lui. Altro elemento della vacuità della storia è che nessuno ha un nome, neanche il cane. Paradossalmente, è proprio questa anonimità a fornire una sorta di completezza al racconto. Nella sequenza delle revisioni, London prima cambia il nome del protagonista da “Tom Vincent” a “Tom Collins”, per abbandonare poi del tutto i nomi nell’ultima versione. Il passaggio da “Tom” all’anonimo “uomo” permette e obbliga quasi a considerarlo non tanto come individuo, quanto piuttosto come un generico maschio della sua specie, dotato di un comportamento caratteristico di tale specie: comportamento specifico che risulta distruttivo. L’ampliamento della prospettiva da persona a specie altera la morale darwiniana del racconto: l’arroganza e le imperfezioni non sono più quelle di un singolo esemplare della specie, ma sono proprie di una specie intera, che si ritiene superiore e che si sente in diritto di consumare tutto quello che trova sul pianeta. La decisione dell’uomo di uccidere il cane è solo una conseguenza esplicita della decisione di venire nello Yukon, che sta all’origine.

Se questa critica sociale nascosta, che è anche un’ideologia, è presente nel racconto, possiamo ragionevolmente chiederci: perché l’ideologia non è consapevole nella coscienza di London, e quindi esplicitamente in primo piano nel racconto? Suggerisco un paradosso per rispondere: London non mise in primo piano la critica sociale perché era un socialista. La nostra odierna preoccupazione per lo sfruttamento e la distruzione della biosfera, una preoccupazione che chiameremo ambientalismo, deriva naturalmente da critiche che precedono le attuali preoccupazioni relative alla natura. In The Four Stages of Environmentalism (Le quattro fasi dell’ambientalismo), David Morris afferma che oggi ci troviamo nella quarta fase; l’ambientalista moderno considera la distruzione della biosfera come la prevedibile conseguenza dello sfruttamento delle risorse naturali e umane cominciato con la Rivoluzione Industriale. London scrisse Preparare un fuoco durante la prima fase dell’ambientalismo, quando la preoccupazione era quella di preservare e mantenere intatta una parte del paesaggio naturale per conservare simbolicamente l’Eden Americano. Anche se, come il socialismo, questo riguardo per la natura porta in sé il seme di una consapevolezza ecologica e critica di più ampia portata, nel 1908 non c’era ancora la percezione diffusa che fosse nostro dovere morale salvare il mondo, piuttosto prevaleva un senso del dovere orientato al poter lasciare qualcosa di intatto e primitivo per i posteri. È poco probabile che le moderne preoccupazioni ambientali fossero in primo piano nella coscienza di London. Come socialista, la sua attenzione era orientata allo sfruttamento dello schiavo da salario. Nonostante ciò, nel suo racconto possiamo individuare la forma di una più ampia critica all’atteggiamento dell’uomo verso animali e altri esseri umani. Il rifiuto dell’uomo di portare sulla pista un compagno di viaggio implica qualcosa di più grave che una banale forma di arroganza o di inesperienza; rivela un’ideologia, la convinzione che andare da soli è preferibile all’azione comune e cooperativa. L’atteggiamento dell’uomo nei confronti del veterano “femminuccia”, la funzione del cane come “schiavo da fatica”, rivelano che London, inconsciamente, alluda a uno scontro tra ideologie: una che promuove l’azione cooperativa e l’altra che sostiene l’individualismo. Per quanto in modo velato, la definizione “schiavo da fatica” rimanda infatti all’ideologia socialista di London, indicando una chiave di lettura per le ambiguità di Preparare un fuoco.

London ripensò due o tre volte alla morale che desiderava trasmettere con il racconto. All’inizio focalizza le leggi naturali dello Yukon come cuore dell’intreccio (versione del 1902); quindi enfatizza ancora l’importanza del codice dello Yukon, ma in un contesto darwiniano (versione del 1908);  infine, le leggi dello Yukon e quelle evolutive assumono un carattere ambiguo (versione del 1910). La ragione di questa ambiguità, come ho obiettato poco sopra, sarebbe un’intrusione ideologica prodottasi nella mente di London, in merito a una critica sociale, a sua volta frutto delle idee socialiste. Una critica che, allora, era troppo rudimentale per poter essere manifestata sotto forma di sistematica denuncia dello sfruttamento del pianeta. Questa è la ragione per cui troviamo, sullo sfondo del racconto, solo accenni di critica sociale. Concentrando l’attenzione sul cane prima e sulla causa finale della morte dell’uomo poi, attraverso gli eventi in primo piano nella trama, veniamo inevitabilmente attratti fino alla critica sottintesa sullo sfondo. Il gesto disperato dell’uomo, che vorrebbe ridurre il cane a oggetto, il suo tentativo di preparare un fuoco sotto l’abete, sono gli anelli di congiunzione che permettono di leggere correttamente la storia. L’estinzione del fuoco enfatizza la ragione che ha spinto l’uomo nello Yukon: depredare la regione di pellicce, oro e legname. È quindi plausibile che un cane e un abete possano precludergli l’ultima possibilità di sopravvivere.

Un giudizio di questo genere impone un’altra morale a un racconto già moralista, enfatizzando l’ironia della storia; come sottolineano Labor e Hendricks, l’uomo subisce una giustizia poetica, spostando la vicenda dal campo del realismo alla dimensione fiabesca. La morte dell’uomo non è più solamente un meccanismo narrativo per veicolare una morale naturalistico-darwiniana sulla condizione dell’uomo: esprime anche un giudizio sulla motivazione che ha condotto quell’uomo nello Yukon. Allo stesso modo, il tentativo di uccidere il cane non è più soltanto la prova delle leggi darwiniane, è anche un esempio dell’arroganza di una specie dominante che vuole disporre della propria sorte: l’incidente non è solo il correlativo oggettivo che incapsula le emozioni di un momento, ma anche un indizio per trovare la chiave di lettura della vicenda. A rischio di sembrare Polonio, potrei categorizzare Preparare un fuoco come favola protoambientalista: c’è infatti qualcosa di veramente fiabesco nell’annientamento dell’anonimo protagonista, proprio da parte di ciò che egli intende distruggere. La favola dice che l’uomo muore non perché abbia ereditato geni scadenti, cosa sulla quale non potremmo esprimere alcun giudizio morale: la sua morte è piuttosto la conseguenza dell’ereditarietà di una cattiva ideologia che noi, insieme a London, siamo chiamati a giudicare. Per chi condivide le preoccupazioni morali di London – presentate, seppure sommariamente, nel racconto – il giudizio espresso dalla natura su un aspirante trasgressore suona come una sentenza a tutti gli effetti, ed è esattamente ciò che si merita. Per noi, come per London, questo giudizio è la ragione per cui quell’uomo muore.

di George R. Adams

 



Mattioli 1885