PROGETTI SPECIALI

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PROCESSO EICHMANN

Il progetto integrale degli atti processuali del processo Eichmann
ha preso vita attraverso 4 volumi di carattere antologico,
pubblicati dal 2014 al 2016

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MARK TWAIN OPERA OMNIA

Nel 2014 – dopo una serie di titoli sparsi pubblicati negli anni –
prende il via il progetto ambizioso e visionario di tradurre tutta l’opera di Mark Twain.
Il progetto non segue un ordine cronologico ed è curato da Livio Crescenz

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CENTOTRENTACINQUE
Collana diretta da Filippo Tuena

La collana centotrentacinque esce in occasione del cxxxv anniversario
della fondazione della casa editrice, con una tiratura di 135 copie
numerate con numeri arabi, più 15 con numeri romani e fuori commercio.
La collana è disponibile al pubblico sul sito della casa editrice.

Theodore Dreiser / Piangeremo per questi sogni?

Preferisco ricordarlo mentre era al culmine della fama, fin troppo breve, quando cioè – come autore e compositore di vari successi della musica popolare americana (On the Banks of the Wabash, Just Tell Them That You Saw Me, e molte altri), come terzo proprietario di una delle case editrici musicali nella città e come attore e drammaturgo di una certa caratura – era solito girare come una falena sotto le luci bianche di Broadway. Era stato grazie a un po’ di fortuna e a un certo talento che era giunto a quel punto, che era riuscito a combinare così tanto per se stesso.
A suo tempo era stato, di volta in volta, un novizio in un seminario dell’Ovest che addestrava giovani aspiranti al sacerdozio cattolico, poi cantante e intrattenitore in una compagnia ambulante, o carrozzone, che vendeva una specie di olio curativo prodigioso (l’Hamlin Wizard Oil) e che viaggiava attraverso l’Ohio, l’Indiana e l’Illinois; middle-man ed end-man in una, due o tre differenti compagnie di minstrel show1 di una certa notorietà; editore o creatore e autore di una “rubrica comica” su un piccolo quotidiano cittadino dell’Ovest; autore dei brani che ho già citato e di un centinaio di altre canzoni. Si era esibito come artista di monologhi black-face, e la stessa cosa aveva fatto con monologhi white-face, sui palcoscenici del Tony Pastor, del Miner e del Niblo, celebri a quei tempi; era stato capo-comico e protagonista o co-protagonista in melodrammi e farse come The Danger Signal, The Two Johns, A Tin Soldier, The Bell Midnight, A Green Goods Man (farsa, tra l’altro, scritta da lui stesso), e molte altre. Aveva un certo genio per quel tipo di allegria, poesia e romanticismo che può, e senza dubbio deve essere considerato come estremamente borghese, ma che nondimeno esercitò tanta attrattiva come nessun’altra cosa al mondo. All’epoca Paul non aveva assolutamente alcuna preoccupazione o problema finanziario di sorta, e questo, unito al buono stato di salute, alla predisposizione a divertirsi e al talento per l’intrattenimento, faceva di lui il più affascinante personaggio che si potesse contemplare.

Il primo ricordo che ho di lui è, in genere, di me ragazzino e Paul uomo di venticinque anni. Era il mio fratello maggiore, ed era tornato al paese in cui vivevamo allora unicamente per trovare nostra madre e aiutarla. Sei o sette anni prima era partito senza dare alcuna spiegazione su dove stesse andando, stanco o forse irritato dalla routine di una casa che, per quanto riguarda le reali possibilità che offriva, avrebbe potuto non essere mai esistita. A gestire ogni situazione era più che altro mio padre, legato alle proprie teorie religiose e morali, verso le quali Paul provava scarsa simpatia. Probabilmente non era compreso da nessuno, salvo da mia madre, che capiva o perlomeno cercava di essere comprensiva verso tutti noi. Iscritto in una scuola che avrebbe dovuto farne un sacerdote, aveva levato le tende, ed ora, sette anni più tardi, eccolo di nuovo lì, in quella piccola città, con pelliccia e cappello di seta e un piccolo bastone da passeggio – un perfetto gentiluomo la cui professione era il teatro. Da qualche parte si era unito a un minstrel show ed era diventato un end-man. Poi aveva sospettato che a noi le cose non stessero andando così tanto bene ed era tornato. Fu il suo gran cuore a riportarlo a casa.
Ma la cosa che mi ossessiona, e che era tipica di Paul a quei tempi così come per tutto il resto della sua esistenza, era l’entusiasmo che lo animava e che riusciva a trasmettere. Era dotato di una specie di genio lieve, non gravato dalla pensosità di un temperamento riflessivo, ma caldo e genuinamente tenero, con un gusto per quella bellezza semplice che maggiormente è in grado di suscitare emozioni. Era già autore di un libro di canzoni a buon mercato, The Paul Dresser Songster (“Tutte le canzoni cantate negli show”), e ne aveva portate con sé un po’ di copie, regalandomene una. Dato che non avevamo strumenti musicali di alcun genere, cercò di insegnarmi alcune di quelle melodie ad orecchio. La casa nella quale eravamo costretti a vivere per via della povertà era il massimo della scomodità e non presentava la benché minima attrattiva, e così il suo arrivo non poté far altro che suscitare in noi richieste, o perlomeno palesare l’ovvio bisogno di aiuto. Ma fu entusiasta di calarsi in quel nuovo ruolo, come se quel mondo gli appartenesse. Era felice di stare con noi, e il motivo di questa felicità era la presenza di mamma, alla quale era fortemente legato. Ricordo come le ciondolava attorno in cucina o dovunque si trovasse e con quale passione le raccontasse tutti i progetti per il futuro, e le spassose difficoltà che aveva incontrato nel passato. Era superbo e pieno di orgoglio giovanile, o almeno era quello che tutti noi pensavamo, eppure le appoggiava una mano sulla spalla, la baciava e l’abbracciava. Fino a quando morì, alcuni anni dopo, mamma fu senza dubbio in cima ai pensieri di Paul, al punto di piangere con lei per i rispettivi problemi. E contribuì regolarmente al nostro sostegno, spedendo a casa gli abiti smessi perché ne facesse dei vestiti per i più piccoli (siano benedette le mani stanche di nostra madre!).

 

Da ‘Piangeremo per questi sogni?’



Mattioli 1885