
29 Ago Yelk / Abraham Cahan (incipit)
Gli operai del laboratorio di sartoria in cui lavorava Jake erano stati con le mani in mano tutta la mattinata. Ormai erano le dodici passate e il ‘principale’ non era ancora tornato da Broadway, dove s’era recato due o tre ore prima in cerca di qualche lavoro di cucito. I pochi lavoranti che soffocavano per il caldo – era una giornata afosa in piena estate – ingannavano il tempo chi in un modo e chi in un altro. Un trentenne che pareva un rabbino, seduto con lo schienale della sedia inclinato contro la sua macchina da cucire, era sprofondato nella lettura di un giornale. Ogni tanto lo scansava da sotto lo sguardo – mostrando una faccia da persona che soffre di stomaco, bordata da una sottile barba scura – per consultare l’ingombrante dizionario che teneva sulle ginocchia. Due ragazzi, uno seduto sul telaio della macchina da cucire accanto e l’altro dritto in piedi, si vantavano tra loro dei rispettivi buoni rapporti d’amicizia con i principali attori dei teatri ebraici. Sull’intavolatura di una terza macchina da cucire, posta in un angolo della stessa parete, era aperto il numero di una rivista socialista in yiddish, sul quale un giovanotto dalla faccia cadaverica ondeggiava su e giù, concentrato, mormorando in modo cantilenante come se stesse recitando il Talmud. Un operaio di mezz’età, con un paio di enormi favoriti rossicci, appollaiato sul tavolo dell’addetto alla stiratura si stava riparando il cappotto. Nel frattempo il robusto addetto alla stiratura e le tre donne della sartoria, sedute alle tre macchine da cucire disposte contro la parete d’angolo, pendevano dalle labbra di Jake, che teneva una lezione improvvisata sui rispettivi meriti di Boston e New York.
Traduzione di Livio Crescenzi